Bambini e coronavirus: consigli per i genitori

bambini e coronavirus Da qualche tempo le parole più pronunciate sono: quarantena, coronavirus, Covid-19, mascherina, igienizzante, e chi più ne ha più ne metta. Il Covid-19 ci ha costretti a una condizione quasi surreale. Le strade si svuotano, le persone indossano mascherine e guanti per uscire, gli spostamenti sono limitati, il silenzio in alcuni momenti della giornata è assordante, soprattutto dopo le 18, orario imposto per la chiusura delle attività. Tutti in casa, chiamati a limitare la propria libertà in nome di una battaglia importante per tutti.

Diversi meccanismi si instaurano in questo periodo che, forse, riempirà i libri di storia dei nostri nipoti. La convivenza è forzata, lo spazio è circoscritto, i tempi si dilatano inevitabilmente. L’Hashtag #iorestoacasa, oltre ad essere un monito fondamentale in questo momento, riporta una parola tanto usata quanto poco soppesata: CASA. “Casa” ha un significato profondo che si connota di sfaccettature e colori diversi in relazione alle singole persone. Per i bambini “casa” è molto di più di mura tinteggiate, quando colorate, che sorreggono quadri e foto.

Bambini e coronavirus: quando la casa diventa tutto

La casa è quel luogo fisico e psicologico dove il bambino struttura la sua personalità attraverso le relazioni interpersonali con genitori e fratelli. “Nucleo originario amato e odiato” (A. Oliverio Ferraris). Il TEST del disegno della casa è per il bambino il momento in cui contatta direttamente quel nucleo. Lì proietta le proprie associazioni con le relazioni familiari, il vissuto emotivo esperito all’interno della casa. (“I disegni dei bambini. Metafore e simboli del benessere bambino”. G. Crocetti, 2008)

Proprio sul binomio “casa/bambino” noi del Centro Psicologia Monterotondo volevamo porre l’accento in questo breve articolo. I nostri bambini, in casa, limitati nei movimenti, nell’agire a tutto tondo, nelle possibilità, hanno comunque la necessità di esprimersi e crescere. I genitori sono chiamati ad assumere più ruoli di quanti ne rivestano in condizioni di vita normale. Per dare qualche spunto o una semplice mappa, noi del Centro Psicologia Monterotondo, abbiamo avuto l’onore di intervistare la Dott.ssa Eleonora Berardi, specializzata in Psicoterapia Analitico Transazionale, lavora presso il Centro Primo Respiro e l’Istituto San Giorgio specializzato per i Disturbi della Condotta Alimentare si occupa di preadolescenti, adolescenti e età adulta.

La Dott.ssa Berardi ci viene in aiuto rispondendo alle nostre domande rispetto alla gestione e condivisione dei tempi e spazi con i nostri bambini. RingraziandoLa per aver accettato il Nostro invito, innanzitutto Le chiediamo se i genitori debbano o meno condividere le informazioni circa il Covid-19 con i loro figli e, se si, in che termini.

Comunicare al bambino emozioni e informazioni

Il genitore, che sta facendo anche i conti con il proprio mondo emotivo, secondo Lei, è chiamato a condividere le proprie emozioni con i figli?

Le Emozioni sono la risposta psicofisiologica a eventi interni o esterni, che in questo momento delicato, generano maggiormente uno stato d’allerta. In questa situazione di emergenza, ognuno di noi percepisce il proprio mondo emotivo attraverso un’espressione interna (accelerazione o rallentamento del battito cardiaco, dilatazione pupillare, tremori, iperattività gastrointestinale, ecc.) e un’espressione esterna (postura corporea, mimica facciale, tono della voce). Sono proprio queste ultime manifestazioni che i nostri bambini captano e interpretano, talvolta erroneamente qualora noi adulti siamo impegnati a camuffarle, nel tentativo di proteggerli.

Il nostro mondo emotivo è caratterizzato ad oggi da ansia, preoccupazione per la salute dei nostri cari e per la precarietà lavorativa. Affinché sia percepito dai bambini in maniera chiara e rassicurante, è preferibile che sia comunicato attraverso il riconoscimento reciproco degli stati emotivi. Questo vale in tutte le situazioni in cui i ruoli prevedono posizioni asimmetriche, ovvero una gerarchia genitore/figlio, professore/alunno.

Ogni essere umano non si nutre soltanto di viveri, ma necessita di un cibo sociale: il riconoscimento” (Berne E.1964,). Con questa frase Eric Berne, ci spiega che, per godere di buona salute psicologica, specialmente in questo momento storico, tutti, sia i nostri bambini che noi genitori, abbiamo bisogno di sentirci visti, percepiti e di esistere per gli altri.

Riconoscere le emozioni dell’altro

Affinché i bambini si sentano al sicuro, occorre metterli a conoscenza di ciò che stanno provando gli adulti intorno a loro, in maniera da fungere da rispecchiamento sicuro e riconoscimento delle proprie paure. Ovviamente, la condivisione emotiva può avvenire in maniera diversa a seconda dell’età del proprio figlio. Esprimersi emotivamente, può prevedere l’improvvisarsi a raccontare una storia o una favola, a costruire un’immagine, un gioco o un disegno. Con questi strumenti i bambini si rispecchiano nelle parole dei genitori e trovano rassicurazione, in un ambiente in cui possono esprimersi e accrescere la loro sensibilità.

Contestualmente, come accogliere le emozioni dei bambini rispetto a questa pandemia?

Lo stravolgimento delle attività di vita quotidiana, l’astensione dalla normalità, è ciò che i bambini osservano e che possibilmente crea confusione dentro di loro. Ogni bambino è un individuo a sé. Non esiste un manuale di gestione emotiva dei propri figli da usare in caso di pandemia che sia più efficace della conoscenza singola che ogni genitore ha del proprio bambino o adolescente. La consapevolezza delle proprie intuizioni, rispetto a come accogliere il mondo emotivo dell’altro, deve essere accompagnata da una comunicazione di sostegno. Questa comunicazione è, a volte, silenziosa: una presenza concreta e fiduciosa è più efficace di molte parole.

Nello specifico accogliere le emozioni dei vostri figli, significa saper sorreggere le sofferenze e anche la disperazione, sollecitando le risorse interne del singolo bambino attraverso una comunicazione di fiducia e investimento sulle sue capacità, evitando di sostituirvi nella risoluzione del momento di confusione attraverso parole e azioni che mirino a “passare oltre” quel momento, perché andrà tutto bene, ma in questo momento bambini e adolescenti, tutti, hanno il diritto di essere spaventati e di poterlo esprimere.

Focalizzare l’attenzione sull’attimo presente

Dalla confusione e disperazione momentanea, si può uscire anche attraverso le sensazioni di piacere che la vostra casa produce. Il tepore o la freschezza della stanza, l’ambiente tonico e gratificante, hanno una funzione molto più efficace delle discussioni fatte di parole. Invitando i vostri figli persi nella confusione mentale, a vedere il mondo come una scena aperta vengono stimolate le sue capacità di cogliere gli aspetti positivi circostanti. Fargli ascoltare i rumori e il silenzio della casa, osservare ciò che dalla vostra finestra è possibile vedere, dal fruscio delle foglie alla vicina che stende le lasagne. Lo spostamento dalla confusione e dai vissuti di paura avviene attraverso esperienze di percezione concreta che ci fanno prendere contatto con la realtà e con la possibilità che abbiamo di viverla ed amarla: quando si riesce a vedere una cosa nella sua bellezza, già si comincia ad amarla e tutta la disperazione si ridimensiona.

Tecnologia, attività, giochi in famiglia. In che misura e a quali di questi aspetti dare più risalto?

Non possiamo più parlare di preoccupazioni per il futuro rispetto a desiderati o temuti cambiamenti comunicativi ed espressivi. Il cambiamento, infatti, è già avvenuto nei nostri bambini e adolescenti, i “nativi digitali” (Morena S.,2017), che antepongono alla riflessione la comunicazione che guida le relazioni. Come sostiene Galimberti (1999) si può scegliere di vivere o di rimanere in disparte rispetto alla tecnologia, ma in questa fase pandemica la scelta è obbligata dal momento che non è più uno dei mezzi, ma una delle uniche vere e proprie finestre verso il mondo.

La continuità delle attività in casa deve essere mantenuta costante, poiché permette di dare valore alle giornate di genitori e figli. Le modalità con cui strutturare il tempo, è sicuramente arduo per gli adulti, concentrati nel “misurare” diversi aspetti della giornata. Il social network ed il cellulare/tablet in genere, sono un mezzo che consente di allontanare la solitudine e di sentirsi sempre in contatto con i nonni/zii, compagni di scuola e insegnanti. Strutturare un orario preciso, in cui incontrarsi in questo “muretto virtuale” protetto, permette loro di comunicare con il gruppo dei pari, attraverso il linguaggio espressivo tipico di ogni età.

Mantenersi attivi e compartecipare

Durante questa pandemia, la strutturazione della quotidianità dei bambini e adolescenti può essere parzialmente condivisa con loro, che hanno maggiormente bisogno di essere contenuti sul piano emotivo; il rischio di lasciarli da soli in questa nuova dimensione di spazio vitale, potrebbe indurli a perdersi nel rimugino dei loro pensieri e paure. Lo stare in famiglia è una nuova dimensione, che può essere organizzata in attività pratiche, in cui si adempie alla cura dei propri spazi vitali e si seguono lezioni didattiche per mantenere una continuità scolastica, con particolare attenzione all’aspetto del gioco, diverso per bambini e adolescenti.

Quello che piace al bambino piccolo è poter utilizzare e modificare gli oggetti che lo circondano, per costruire la certezza di una possibile azione sul mondo (pasta di sale, cartoncini ecc.). Del tutto diverso è un adolescente, che predilige giochi che mobilitano una forte intensità emozionale, indipendentemente dal loro contenuto. E’ questa intensità emozionale che spiega il motivo per cui non ascoltano e sono spesso molto tesi, dovendosi confrontare con stimolazioni visive e uditive molto intense (Tisseron, 2006).

In entrambe le situazioni, è consigliabile che il genitore tenga conto della dinamica dell’approvazione e di risposta alle aspettative legittime dei propri figli, ad esempio compartecipando ai loro interessi, seppur dando degli orari di inizio e fine del gioco. In tal modo l’adolescente tenderà ad evitare di ricercare gratificazioni all’esterno del nucleo famigliare, risposta che viene riattivata spesso grazie ad Internet.

Quanto fin qui detto, sottolinea l’importanza di fornire un ambiente domestico adeguatamente stimolante e relativamente prevedibile per i nostri bambini. È utile riprodurre in maniera quanto più fedele i vari contesti da essi frequentati. I bambini che possono contare su un ambiente che promuova un sano ed equilibrato sviluppo psicologico, diverranno adulti capaci di adattarsi in maniera ‘sana’ alle diverse circostanze della vita, di stabilire dei legami soddisfacenti, di provare e promuovere benessere psicologico e fisico (Chiesa C., 2013).

Nuove regole familiari

Secondo Lei, in questo momento in cui tutto è stravolto, le abitudini, i premi, le punizioni, la ruotine come possono essere gestite dai genitori?

Si può affermare che in questo periodo di stretta vicinanza e dipendenza dalle persone che si prendono cura di loro, i bambini imparano ad imparare. Imparano cioè ad usare in modo intelligente il proprio comportamento attraverso l’osservazione dei genitori. Gestire la frustrazione di bambini e adolescenti, in fase pandemica, potrebbe risultare sfibrante nella misura in cui il sistema familiare non si adatti alla nuova situazione, caratterizzata da spazi fisici e psicologici ridotti.

Il contenimento emotivo dei propri figli è veicolato anche dall’insieme di regole stabilite, che normalizzano lo stravolgimento di vita in atto. Per gestire il cambiamento interno al nucleo familiare, si potrebbe ristrutturare un sistema di “economia di carezze”, intese come forme di riconoscimento e rispetto dell’altro. Attraverso questo sistema si effettua un bilancio delle punizioni e dei buoni premio da dare e ricevere, concordandole con i propri figli in base all’età. La variabile da osservare in fase pandemica è la durata della punizione. Questa necessita immediatezza e va conclusa in breve tempo, al fine di rendere il bambino consapevole dell’accaduto, ma contenendo la frustrazione già elevata.

Le emozioni dei bambini, un mondo tanto grande quanto meraviglioso, come aiutarli ad esprimerle? Come contenerle?

L’attaccamento nasce dalla sensazione piacevole di essere oggetto di cura, di essere avvolto affettivamente e riconosciuto dai propri cari. Nel tentativo di aiutare i bambini a esprimere le loro emozioni, l’adulto deve astenersi dal modificarle per renderle positive a tutti i costi; piuttosto si tratta di agire sulla situazione di emergenza.

L’accudimento distoglie dall’ansia

Attraverso la presa in considerazione di stimoli ambientali, mediante la percezione della sorpresa di ciò che si può fare insieme in casa, è possibile distoglierli dal ruminamento interno. Poi, con una comunicazione lenta e sicura, riuscire a tranquillizzarli. La modalità comunicativa per facilitare l’espressione delle emozioni è caratterizzata dalla lentezza. Grande attenzione a “staccare” le parole pronunciate l’una dall’altra con una pausa forzata nella frase e estrema concentrazione verso l’altro, affinché “senta” di essere l’oggetto della comunicazione.

Nei confronti di un bambino/adolescente ansioso e spaventato può essere utile far esprimere dall’ambiente circostante (fratello, animale domestico, oggetto preferito) un segnale di bisogno di cura. Un bimbo, impaurito da un buio improvviso, può essere invitato a prendere in mano un suo orsacchiotto, illuminato dalla luce di un telefono. Tale immagine richiama nel bambino la possibilità di superare un momento difficile, diverso a seconda dell’età, e può stabilizzarlo attraverso il sentimento di tenerezza che sperimenta per l’orsacchiotto tutto solo.

Ugualmente è possibile distogliere dalla paura e dall’ansia un adulto invitandolo ad interessarsi amorevolmente di qualcosa che ha bisogno delle sue attenzioni. Numerosi giochi da tavola (Dixit), possono essere modulati dai genitori come veicolo preferenziale per entrare nel mondo emotivo sia dei figli sia nel proprio. Suggerisco il libro di Claude Steiner “La favola dei caldomorbidi”. Attraverso una favola, l’autrice spiega come sapersi adattare al contesto, alle sue richieste, riuscendo anche a ottenere vantaggi relazionali ed emotivi, necessari alla sopravvivenza psicofisica.

Ringraziando sentitamente per la disponibilità e la professionalità la Dott.ssa Eleonora Berardi, il Centro Psicologia Monterotondo vi rimanda alla settimana prossima per un nuovo approfondimento.

L’autrice dell’articolo è la Dottoressa Stefania Pillotti.

Violenza nella coppia e dinamiche di potere nelle relazioni LGBTQI+

Violenza nella coppia LGBT | Centro Psicologia Monterotondo

Sul tema della violenza nella coppia all’interno delle coppie LGBTQI, nella letteratura scientifica degli ultimi vent’anni esistono studi lacunosi e parziali.

Anzitutto, occorre distinguere due concetti spesso correlati ma indipendenti:

la Intimate Private Violence identifica la violenza nella coppia, dalla violenza verbale e psicologica, ai maltrattamenti fino ad arrivare alle percosse.

La Intimate Partner Sexual Violence indica invece l’abuso sessuale che si verifica all’interno di una coppia.

Studi su violenza nella coppia e abusi

I dati della letteratura scientifica statunitense coprono circa un ventennio di ricerche fino al 2015. Se consideriamo chi ha subito nella vita almeno un episodio di violenza domestica o di abuso sessuale, nella popolazione LGBT la prevalenza è maggiore che nella popolazione eterosessuale ed è originata sia da uomini sia da donne.

In Italia, la ricerca in merito è quasi inesistente. Soltanto nel 2011, ArciLesbica Roma e D.i.Re. (Donne in rete contro la violenza) hanno condotto una piccola ma significativa ricerca su 102 donne omosessuali nella Regione Lazio, intitolata “La violenza ha mille volti, anche arcobaleno”.

Dalla ricerca è emerso che una donna su cinque ha ammesso di avere paura del ritorno a casa della propria partner. Al campione è stato chiesto come si comporterebbe in caso di violenza domestica. Il 70,6% ha dichiarato che si rivolgerebbe ad amici o associazioni; il 29,4% non ha saputo indicare a chi chiederebbe aiuto. E’ emerso inoltre un dato allarmante: 27 donne su 102 hanno dichiarato che non chiederebbero aiuto in caso di violenza, per riservatezza o disagio.

Allo stato attuale, molte realtà associative che si occupano di violenza sulle donne non solo non riportano dati sulla violenza same-sex, ma quasi sempre non accennano al fenomeno.

Caratteristiche del fenomeno e luoghi comuni inesatti

Il fenomeno della violenza nelle coppie LGBTQI+ assume caratteristiche specifiche che forniscono spunti ulteriori su alcuni meccanismi della violenza domestica che operano anche nelle coppie eterosessuali.

Anzitutto, bisogna partire dal presupposto che la violenza domestica nelle coppie LGBT avviene sempre nel contesto dell’omofobia interiorizzata. Si tratta del fenomeno per cui una persona LGBT attiva contro se stesso atteggiamenti omofobi, arrivando a vivere sentimenti di inadeguatezza, colpa e vergogna. Violenza domestica e omofobia interiorizzata si potenziano a vicenda, alimentando il senso di colpa e la vergogna, che ostacolano il ricorso alla denuncia.

Sono presenti dei falsi miti circa questa realtà (Brown e Chan) ovvero:

  • solo le donne possono essere vittime e solo gli uomini possono essere aggressori;

  • il maltrattamento tra partner dello stesso sesso biologico non è grave tanto quanto quello di un uomo su una donna;

  • le donne non sono violente;

  • la violenza nelle relazioni omosessuali è reciproca;

  • quando una coppia omosessuale litiga, non è mai violenza, ma si tratta di bisticci d’amore;

  • l’autore dell’aggressione è sempre il partner più mascolino, mentre la vittima è sempre il partner più femminilizzato.

La violenza domestica all’interno delle coppie lesbiche assume specificità che mostrano quanto il problema della violenza nella coppia non sia tanto legato al sesso biologico dell’aggressore, quando alle dinamiche di potere operanti nella relazione.

Giochi di potere all’origine della violenza nella coppia

Spesso la violenza si manifesta sotto forma di attacchi all’identità di genere o all’orientamento (non sei una vera lesbica se …”): la vittima viene minata nel suo senso di identità e i suoi vissuti di omofobia interiorizzata vengono potenziati.

Altre volte, la violenza si esercita sotto forma di minaccia di outing, ovvero di rivelare l’orientamento sessuale della partner o del partner ai familiari, ai colleghi, agli amici, potenziando la paura che questi possa mettere in atto comportamenti di rifiuto aggressivo o di abbandono.

Al contrario, la violenza può esercitarsi sotto forma di invisibilizzazione della relazione, cioè costringere la partner a mantenere un comportamento pubblico che neghi la relazione di coppia, talvolta fino al punto di vietare di “lasciare traccia” della propria presenza persino nella casa coniugale.

La letteratura riporta anche una pericolosa identificazione tra partner nel caso della violenza domestica nelle coppie lesbiche. Nello specifico, spesso si verificano ricatti emotivi nella veste di minacce di autolesionismo. Oppure meccanismi manipolatori di autovittimizzazione (“tu mi dovresti capire”) per cui la vittima viene indotta a pensare di non essere empatica se pensa di denunciare il proprio aggressore.

Merita un ultimo riferimento il fatto che il contesto di omofobia sociale e interiorizzata in cui vivono le coppie LGBT spesso ostacola la denuncia, per tre fattori: la denuncia obbliga al disvelamento del proprio orientamento sessuale; si accompagna spesso a una scarsa fiducia delle persone LGBT verso le forze dell’ordine; in Italia, allo stato attuale, manca una assistenza specificamente formata.

Questa carenza è nota alle persone LGBT che quindi, prima di denunciare, spesso costruiscono la fantasia di un contesto poco accogliente, poco in grado di capire il fenomeno e potenzialmente omofobo.

Ph Felipe Balduino, Pexels

Fuori dall’armadio: Affettività, identità, omofobia

Lgbt e oltre

Orientarsi nel mondo LGBTQI+ non è affatto semplice. Lo stesso acronimo lo rende evidente, poiché include nella stessa comunità le persone lesbiche, bisessuali, gay, transessuali, intersessualità, “queer”. E’ usato per indicare tutti coloro che non si sentono rappresentati dall’orientamento sessuale eterosessuale.

LGBT

Come si è arrivati dalla contrapposizione classica tra eterosessualità e omosessualità alla moltitudine di dimensioni affettive e sessuali che la letteratura psicologica oggi riconosce negli esseri umani? Per capirlo sembra utile partire da una ironica e provocatoria affermazione di Alfred Kinsey.

Nel trattato “Sexual Behavior in the Human Male” (1948), riportando i dati della più vasta indagine mai svolta sul comportamento sessuale degli esseri umani, Kinsey affermava che

Questo mondo non dovrebbe essere diviso tra pecore e capre. E’ un principio fondamentale della tassonomia il fatto che la natura raramente ha a che fare con categorie separate […]. Il mondo vivente è un continuum in ognuno dei suoi vari aspetti”.

Un nuovo sguardo sull’omosessualità

A partire dalle ricerche di Kinsey e di Evelyn Hooker, la letteratura scientifica ha iniziato quel lento percorso di revisione scientifica e clinica dell’omosessualità, che si è mosso in due direzioni fondamentali:

  1. riconoscere che l’omosessualità è sia normale sia diffusa;

  2. riconoscere che l’omosessualità è solo una delle infinite varianti naturali del comportamento sessuale umano.

In queste linee, nel 1972 L’American Psychological Association cancella l’omosessualità dalle patologie psichiatriche. A partire dal 1974, la voce omosessualità” viene eliminata dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM). LOrganizzazione Mondiale della Sanità descrive lomosessualità come una variante naturale del comportamento sessuale umano. Afferma inoltre che nessuna terapia può essere messa in atto per modificare lorientamento sessuale.

Per capire di più: sesso biologico, identità di genere, stereotipi di genere, orientamento sessuale

Iniziamo a precisare che il sesso biologico può essere definito come l’appartenenza su base genetica al genere maschile o al genere femminile. Il sesso biologico, definito dal corredo cromosomico, già nello sviluppo fetale determina lo sviluppo di organi sessuali primari coerenti con il patrimonio genetico. Nel momento della pubertà e dell’adolescenza, lo stesso corredo cromosomi indurrà lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie.

In realtà, esistono in natura varianti intersessuali, cioè con corredo cromosomico appartenente ad entrambi i sessi biologici. Alla nascita si manifestano organi sessuali di entrambi i sessi, senza informazioni sul tipo di carattere sessuale secondario che si svilupperà primariamente nell’adolescenza.

Lidentità di genere riguarda il modo in cui Io penso il mio sesso biologico, ovvero se mi penso un essere umano maschile o femminile. Questa percezione di sé, estremamente precoce, prescinde dal sesso biologico, anzi può essere in contrasto con il sesso biologico. In tal caso, ci troviamo di fronte ad una “disforia di genere”. E’ la percezione che il proprio corpo non corrisponda alla propria identità di genere e che pertanto sia necessario un “allineamento” per riconoscersi finalmente nel corpo “giusto”.

Lo stereotipo di genere o aspettativa di genere indica invece il comportamento che la società si aspetta da un essere umano sulla base del suo essere maschile o femminile. Si tratta di un ambito di prescrizioni molto vasto, fortemente determinato dalla cultura di riferimento. Lo stereotipo può portare a individuare uomini “effeminati” o donne che si comportano da “maschiacci”.

Infine, l’orientamento sessuale indica la predisposizione a provare un’attrazione affettiva ed erotica verso una persona del sesso opposto al proprio (eterosessualità) o dello stesso sesso (omosessualità) o entrambi (bisessualità).

Tutte queste variabili sono presenti contemporaneamente nello stesso individuo, ma possono modificarsi nel corso della vita. Diventa dunque chiaro che la complessità del mondo LGBT sta in questo suo potersi declinare in modi assolutamente vari e complessi.

E il pregiudizio eterosessista?

Vista la complessità del comportamento affettivo, relazionale e sessuale umano, diventa chiaro che l’eterosessualità sia solo una delle molteplici sfaccettature con cui un individuo può esprimere, in un dato momento, la propria predisposizione affettiva, relazionale e sessuale.

Anzi, il pregiudizio eterosessista è quella struttura sociale dominante per cui un qualunque individuo si considera eterosessuale a meno che non dica il contrario. Questo pregiudizio è fortemente sostenuto dalle campagne pubblicitarie che veicolano le aspettative di genere e dalle convinzioni comuni operanti a livello sociale. Una persona LGBT viene così sottoposta a uno stress, il cosiddetto Minority Stress o “stress di minoranza” (Lingiardi).

Una persona LGBT, per effetto del pregiudizio eterosessista, sarà portata a pensarsi inizialmente come eterosessuale. Quando avrà una maggiore consapevolezza della sua identità di genere o del suo orientamento sessuale percepirà la propria “devianza della norma”, che solitamente si manifesta in ansia, vissuti depressivi, senso di colpa, senso di inadeguatezza, vissuti di vergogna e disistima profondi.

Uscire fuori dall’armadio

Da questa discrepanza inizia per una persona LGBT il lungo processo di autoconsapevolezza chiamato comunemente Coming Out, dall’espressione coming out of the closet, ovvero uscir fuori dall’armadio.

Nel corso degli anni, la letteratura psicologica ha elaborato tanti modelli teorici che spiegassero le diverse fasi del coming out. In generale tutti i modelli sul Coming Out concordano nel ritenerlo un processo che ha inizio dall’accettazione di sé e si allarga alla condivisione della propria identità con familiari e amici. E’ un processo che dura tutta una vita e si muove lungo le tre direttrici fondamentali della autoconsapevolezza, della costruzione della propria identità e della condivisione della stessa identità.

E’ in ultima analisi anche un percorso in cui si può uscire dall’isolamento e costruire la propria identità sulla base dell’appartenenza alla comunità LGBT nelle sue mille sfaccettature.

Una psicoterapia per persone LGBT e uno sportello LGBT

Questo breve sguardo che abbiamo gettato insieme sul mondo LGBT ha messo in risalto una realtà talmente tanto complessa e delicata che ha convinto – e ci ha convinto – della necessità di terapeuti specializzati nelle tematiche LGBT, che sappiano sostenere il percorso del coming out e le persone LGBT nella difficile lotta all’omofobia.

Presso il Centro Psicologia Monterotondo si può pertanto portare avanti un percorso terapeutico specifico che aiuti a :

  • superare l’ansia e la vergogna;

  • elaborare la propria identità;

  • portare avanti il proprio coming out;

  • affrontare questioni legate all’omofobia, interiorizzata o sociale.

Per questi motivi, abbiamo inoltre pensato di proporre uno sportello permanente di consulenza gratuita, che può essere effettuata anche in forma anonima. La consulenza sarà rivolta soprattutto ai giovani e giovanissimi che precocemente si confrontano con dubbi continui sulla propria sessualità e affettività. Il supporto è dedicato anche ai genitori, che a volte non riescono a trovare il modo di decifrare i silenzi dei loro figli via via sempre più chiusi e solitari.

Costellazioni Familiari

Le Costellazioni Familiari sono un metodo di presa di coscienza e risoluzione di una vasta gamma di problematiche che derivano dalla famiglia di origine. Queste possono manifestarsi nella vita di ogni giorno sul piano del benessere individuale, delle relazioni interpersonali, del processo di auto-realizzazione.

Attraverso le Costellazioni Familiari possiamo infatti prendere coscienza di ingiustizie, esclusioni e privazioni vissute dai nostri antenati. Queste memorie dolorose potrebbero essere arrivate fino a noi e inficiare in qualche misura la nostra vita. Lasciando agire la rappresentazione scenica, possiamo comprendere a fondo l’origine di ciò che stiamo vivendo, reintegrare le informazioni mancanti per rimettere ordine nel sistema.

Risolvere nodi antichi

Il metodo delle Costellazioni Familiari aiuta a ricostruire la propria linea genealogica. Inoltre consente di prendere coscienza di traumi (malattie, guerra, morti, fallimenti), ingiustizie e privazioni vissuti nel sistema familiare, sociale e culturale. Tutte queste informazioni vengono infatti trasmesse dagli antenati ai discendenti.

Non è cosa semplice: molto spesso quello che viene rappresentato nelle costellazioni è uno scenario sconosciuto e inedito. E non potrebbe essere altrimenti, in quanto la costellazione ci mostra non solo quello che già sappiamo (per cui riconosciamo con stupore certi atteggiamenti e comportamenti riportati precisamente dai rappresentanti); il vero contributo di una costellazione consiste nello svelarci quello che non sappiamo riguardo la nostra famiglia.

La cosa importante è aprirsi alle informazioni che arrivano, accogliere con fiducia anche le rivelazioni più sconcertanti. Talvolta capita che la costellazione riveli addirittura informazioni sconosciute al cliente, ma puntualmente confermate da successive indagini. In ogni caso, qualunque cosa emerga dalla costellazione, il nostro livello di coscienza è in grado di elaborarlo e di assimilarlo, aumentando la nostra consapevolezza e permettendo così al nostro campo morfogenetico di riassestarsi più in profondità.

Come funzionano le Costellazioni Familiari

Gli elementi fondamentali per effettuare una Costellazione Familiare sono tre: un facilitatore, un cliente e dei rappresentanti.

  • Il FACILITATORE imposta il set fenomenologico in cui si sviluppa la costellazione, indaga assieme al cliente la tematica che si vuole esplorare e, sulla scorta della sua esperienza e competenza, porta la costellazione a una soluzione efficace.

  • Il CLIENTE è l’elemento fondamentale di una costellazione. E’ colui che porta la domanda su cui lavorare, che deve essere chiara e rilevante, ovvero non generica ed evasiva, bensì focalizzata su una tematica che richieda una soluzione. Ma soprattutto il cliente è importante perché è il suo campo morfogenetico che viene rappresentato fenomenologicamente, a cui si collegano il facilitatore e i rappresentanti.

  • I RAPPRESENTANTI sono generalmente persone (ma possono essere anche oggetti) su cui vengono proiettati dal campo morfogenetico taluni aspetti dei membri del sistema familiare. In genere (ma dipende dalla tecnica utilizzata dal facilitatore) possono esprimersi liberamente e spontaneamente, dando uno sviluppo dinamico alla costellazione.

Concretamente, dopo una breve indagine sulla tematica portata dal cliente e sulla situazione genealogica e sistemica, il cliente formula la domanda cui tenterà di dare risposta grazie alla costellazione. Il cliente dispone nello spazio previsto (o invita a disporsi liberamente) i rappresentanti della sua famiglia, o del suo partner, o delle sue relazioni affettive, lavorative, personali. Poi si siede e osserva.

I rappresentanti entrano in connessione con il campo morfico del soggetto e agiscono guidati da dinamiche spontanee, portando alla luce il vissuto emotivo delle persone reali o delle situazioni che rappresentano. In genere, nel giro di qualche minuto la costellazione arriva a uno stallo, a un blocco o un congelamento: è il cosiddetto irretimento, in cui vediamo la situazione “reale” del sistema familiare del soggetto, assistiamo all’emersione del nodo o del nucleo problematico del sistema.

Solamente la visione e la presa di coscienza di questo dato potrebbe bastare al cliente per destrutturare una serie di blocchi interiori e giungere a nuove consapevolezze riguardo se stesso e il proprio sistema; ma in genere si cerca di effettuare un aggiustamento della situazione, di esercitare un ruolo attivo nella ridefinizione del sistema.

Attraverso quindi un misurato e graduale cambiamento delle posizioni dei rappresentanti nello spazio, spontaneamente o attraverso l’intervento del facilitatore, si riporta il sistema nel giusto ordine: una rinnovata armonia dentro la quale il soggetto interessato riprende il suo posto e ristabilisce le corrette relazioni con i membri del suo sistema.