Invecchiamento fisiologico e invecchiamento patologico

L’invecchiamento fisiologico nella popolazione è aumentato, dai primi anni del ‘900 ad oggi, in conseguenza della crescita dell’aspettativa di sopravvivenza, grazie al miglioramento generale nelle condizioni di vita. Ciò significa che le tematiche legate alla terza età oggi interessano un ampio numero di persone.

invecchiamento fisiologico e invecchiamento patologico

È diventato, quindi, estremamente importante approfondire la ricerca e la clinica al fine di comprendere cosa favorisce un invecchiamento “di successo” e come è possibile mantenere il più a lungo possibile attività e funzioni fondamentali alla persona per vivere in autonomia.

Noi del Centro Psicologia Monterotondo abbracciamo la visione secondo la quale lo sviluppo della persona continua lungo tutto l’arco di vita: dall’infanzia, all’adolescenza, all’età adulta, all’età anziana. Ogni fase porta in sé un passaggio di crescita fondamentale per uno sviluppo pieno e sano dell’individuo.

Le ultime ricerche sul benessere psicologico riportano che le persone più adulte esprimono un maggior grado di soddisfazione personale e di benessere psichico rispetto alle persone più giovani. Questo potrebbe sembrare un dato paradossale, eppure ci permette di comprendere che, anche in età avanzata, ciascuno può avere un ruolo attivo nella costruzione del proprio benessere.

Un buon invecchiamento fisiologico è possibile

Quali sono i fattori che favoriscono una migliore qualità di vita e salute in età avanzata? Tutti i dati più recenti convergono su alcune concause principali che possono favorire un buon invecchiamento fisiologico. Queste comprendono comportamenti e stili di vita, fattori psicologici e sociali. Tra i più rilevanti, legati allo stile di vita, possiamo citare:

  • una dieta bilanciata

  • esercizio fisico costante, con effetto positivo anche sull’umore

  • ore di sonno adeguate (7-8)

  • l’astensione dal fumo

  • un consumo moderato di alcool

  • attività di prevenzione regolare.

Per quanto riguarda i fattori psicologici e sociali, tra i più influenti abbiamo:

  • avere un atteggiamento positivo nei confronti della vita e dell’invecchiamento stesso

  • concedersi tempo dedicato agli hobby e ai divertimenti

  • mantenere relazioni sociali

  • avere un ruolo attivo nella società e nella propria comunità.

Quindi, dare attenzione al nostro stile di vita fin da giovani, tanto per le abitudini comportamentali, quanto per l’aspetto psicologico e sociale, ci permette di costruire potenzialità e risorse alle quali poter attingere nella terza età.

L’invecchiamento fisiologico comporta inevitabilmente dei cambiamenti fisici esterni e interni, cambiamenti a livello sensoriale, un declino più o meno marcato di diverse funzioni neuropsicologiche tra cui la memoria, il linguaggio e l’attenzione. Tali modificazioni possono essere a volte minime e molto lente, altre volte più profonde e progressive.

Come fronteggiare in modo attivo i cambiamenti propri della terza età?

Di fronte a queste modificazioni, come esseri umani lo strumento più potente che abbiamo a disposizione è la nostra capacità di adattamento. Saper modificare in modo flessibile i nostri obiettivi in base ai cambiamenti delle risorse a nostra disposizione. Questa è una qualità estremamente utile in tutto l’arco della vita, ma diventa fondamentale nella terza età, quando possono ridursi sia le potenzialità interne che la capacità di accedere alle risorse esterne.

Per quanto riguarda queste ultime, è utile ad esempio modificare il contesto ambientale in cui l’anziano vive, in modo da renderlo più funzionale alle sue capacità fisiche e cognitive, o anche utilizzare semplici accorgimenti per minimizzare o compensare il declino cognitivo (dallo scrivere dei promemoria ad utilizzare telefoni o tablet per ricordarsi appuntamenti).

Da un punto di vista psicologico è importante che anche nella terza età ci sia una progettualità, ossia la ricerca di uno o più obiettivi che diano direzione e senso alla propria vita. In genere chi invecchia in modo sano e felice tende a selezionare un minor numero di obiettivi, ma solitamente questi sono più importanti e significativi per la persona.

Inoltre la sfera emotiva e affettiva nella terza età è quella che subisce meno l’effetto dell’invecchiamento fisiologico, per cui rimane una grossa risorsa a disposizione. Questo permette anche di potenziare la sfera familiare e sociale come spazio di condivisione di esperienze, emozioni e sentimenti.

Accanto all’invecchiamento fisiologico, tuttavia non possiamo non considerare che in alcuni casi l’invecchiamento diventa patologico. Ciò accade quando il declino delle funzioni neuropsicologiche è marcato e tale da compromettere il buon funzionamento psicologico e sociale della persona, come nei casi delle Demenza.

L’invecchiamento patologico

Negli ultimi anni il tema è al centro dell’attenzione a livello mondiale poiché, con l’innalzamento dell’età della popolazione, si assiste a un aumento dei casi di Demenza. Le Demenze degenerative primarie sono malattie devastanti del sistema nervoso centrale, in cui la personalità e l’identità della persona vengono progressivamente distrutte.

Secondo il Rapporto OMS e ADI (Alzheimers Disease International) del 2016 la Demenza, nelle sue diversificate forme, è stata definita “una priorità mondiale di salute pubblica”. Le stime più recenti a livello internazionale indicano che nel mondo vi sono circa 35,6 milioni di persone affette da Demenza, con 7,7 milioni di nuovi casi ogni anno e un nuovo caso di Demenza diagnosticato ogni 4 secondi.

Secondo i dati dell’Osservatorio Demenze dell’Itituto Superiore di Sanità (studio di giugno 2019) in Italia un milione di persone sono affette da Demenza, 600mila sono colpite da Alzheimer e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. La Malattia di Alzheimer rappresenta la più frequente patologia neuro-degenerativa, insieme ad altre forme di Demenza come Demenza vascolare, fronto-temporale, a corpi di Lewy, ecc…

La Demenza di Alzheimer si manifesta in una fase iniziale con lievi problemi di memoria; nel corso della malattia questi e altri deficit cognitivi si intensificano e possono portare il paziente non solo al grave disorientamento nel tempo, nello spazio e verso le persone, ma anche a disinteressarsi della propria sicurezza personale, dell’igiene e della nutrizione, sino alla totale perdita della propria autonomia e alla completa dipendenza dai familiari o altri caregiver (colui che si prende cura del malato).

Demenza senile, come comportarsi

La prevalenza della malattia aumenta con l’età e raggiunge il 15-20% nei soggetti di oltre 80 anni. La sopravvivenza media dopo la diagnosi è oramai di oltre 10 anni. Ad oggi non esiste una cura efficace per la Demenza, che modifichi la malattia e ne inverta il decorso, sebbene le attuali terapie farmacologiche siano efficaci nel rallentare la progressione di malattia.

Negli ultimi anni l’approccio più frequente di cura è un intervento farmacologico precocissimo sulle prime fasi della malattia (in cui i sintomi sono minimi) unito a terapie non farmacologiche. Queste comprendono approcci cognitivi quali la Terapia di Stimolazione Cognitiva (CST) abbinata con altri interventi psicosociali, come la terapia occupazionale, la musicoterapia, la stimolazione multisensoriale, terapia della bambola, terapia del treno, l’esercizio fisico.

La Stimolazione Cognitiva è un trattamento specifico per soggetti che presentano una demenza lieve-moderata. Usa tecniche e interventi mirati e differenziati. L’obiettivo è massimizzare le funzioni residue dell’individuo con l’utilizzo di tutte le risorse interne ed esterne disponibili per mantenere il più possibile l’autonomia.

La terapia di ri-orientamento alla realtà (ROT) è stata la prima terapia cognitiva in grado di produrre buoni risultati, di rafforzare le informazioni di base del paziente a livello spazio-temporale e della sua storia personale e ridurre la tendenza all’isolamento.

La Terapia di Stimolazione Cognitiva (CST)

La Terapia di Stimolazione Cognitiva è un intervento globale: parte da un orientamento alla realtà è capace di stimolare il funzionamento cognitivo e socio-relazionale. Il trattamento pone al centro l’individuo piuttosto che la Demenza. È una terapia psicosociale diffusa a livello mondiale, comprovata a livello scientifico. Può rallentare il decorso della malattia puntando all’autonomia della persona.

Gli obiettivi terapeutici nello specifico sono:

  • raggiungere il miglior livello funzionale possibile
  • rallentare il decadimento cognitivo
  • contrastare la tendenza all’isolamento nel contesto familiare e sociale
  • contenere i disturbi comportamentali
  • ridurre lo stress assistenziale
  • ritardare l’istituzionalizzazione.

La CST è un’attività altamente strutturata, da non confondere con qualsiasi tipo di proposta ludico-ricreativa e può essere condotta individualmente o in piccoli gruppi. Ogni sessione segue la stessa struttura sebbene il tema cambi di volta in volta, permettendo alla persona di acquisire un orientamento implicito. La stimolazione delle abilità cognitive avviene attraverso attività non frustranti e adattate alle capacità della persona o del gruppo, ad esempio:

  • esercizi con le parole per stimolare le abilità di denominazione e di comprensione
  • giochi con i numeri
  • esercizi sulla conoscenza e uso degli oggetti
  • giochi fisici
  • orientamento sulla base di indizi esterni
  • utilizzo del denaro
  • stimolazione sensoriale
  • attività con la musica e suoni
  • attività sull’infanzia.

L’Operatore di Stimolazione Cognitiva della persona con Demenza

L’Operatore di Stimolazione Cognitiva è un professionista (Psicologo, Neurologo, Geriatra o comunque ogni Operatore coinvolto nell’assistenza a tale patologia), adeguatamente formato. Egli è in grado di disporre delle tecniche di stimolazione cognitiva e di attuare l’intervento più efficace per il benessere del suo assistito. Nello specifico

  • conosce e sa somministrare le principali batterie di screening del funzionamento cognitivo per la Demenza
  • è in grado di effettuare una valida diagnosi differenziale tra i diversi disturbi
  • conosce e sa applicare le principali tecniche di stimolazione cognitiva (ROT; CST individuale e di gruppo).

Presso il Centro Psicologia Monterotondo operano esperti in grado di valutare, attraverso test specifici, le funzioni cognitive e i sintomi non cognitivi. L’obiettivo è quello di fornire una valutazione dello stato funzionale completo della persona con Demenza. I nostri specialisti, dopo un attento screening, programmano il trattamento più adeguato per la persona in esame. Anche alla famiglia del malato con Demenza e alle persone che lo assistono è offerto aiuto e strumenti che supportino gli interventi domiciliari.

Sabato 21 marzo dedicheremo un seminario gratuito al tema Conoscere e Prevenire Le Demenze. La partecipazione è libera ma è necessario prenotarsi inviando una mail a info@centropsicologiamonterotondo.com oppure chiamando il numero 366/1730510. 

Costellazioni Familiari

Le Costellazioni Familiari sono un metodo di presa di coscienza e risoluzione di una vasta gamma di problematiche che derivano dalla famiglia di origine. Queste possono manifestarsi nella vita di ogni giorno sul piano del benessere individuale, delle relazioni interpersonali, del processo di auto-realizzazione.

Attraverso le Costellazioni Familiari possiamo infatti prendere coscienza di ingiustizie, esclusioni e privazioni vissute dai nostri antenati. Queste memorie dolorose potrebbero essere arrivate fino a noi e inficiare in qualche misura la nostra vita. Lasciando agire la rappresentazione scenica, possiamo comprendere a fondo l’origine di ciò che stiamo vivendo, reintegrare le informazioni mancanti per rimettere ordine nel sistema.

Risolvere nodi antichi

Il metodo delle Costellazioni Familiari aiuta a ricostruire la propria linea genealogica. Inoltre consente di prendere coscienza di traumi (malattie, guerra, morti, fallimenti), ingiustizie e privazioni vissuti nel sistema familiare, sociale e culturale. Tutte queste informazioni vengono infatti trasmesse dagli antenati ai discendenti.

Non è cosa semplice: molto spesso quello che viene rappresentato nelle costellazioni è uno scenario sconosciuto e inedito. E non potrebbe essere altrimenti, in quanto la costellazione ci mostra non solo quello che già sappiamo (per cui riconosciamo con stupore certi atteggiamenti e comportamenti riportati precisamente dai rappresentanti); il vero contributo di una costellazione consiste nello svelarci quello che non sappiamo riguardo la nostra famiglia.

La cosa importante è aprirsi alle informazioni che arrivano, accogliere con fiducia anche le rivelazioni più sconcertanti. Talvolta capita che la costellazione riveli addirittura informazioni sconosciute al cliente, ma puntualmente confermate da successive indagini. In ogni caso, qualunque cosa emerga dalla costellazione, il nostro livello di coscienza è in grado di elaborarlo e di assimilarlo, aumentando la nostra consapevolezza e permettendo così al nostro campo morfogenetico di riassestarsi più in profondità.

Come funzionano le Costellazioni Familiari

Gli elementi fondamentali per effettuare una Costellazione Familiare sono tre: un facilitatore, un cliente e dei rappresentanti.

  • Il FACILITATORE imposta il set fenomenologico in cui si sviluppa la costellazione, indaga assieme al cliente la tematica che si vuole esplorare e, sulla scorta della sua esperienza e competenza, porta la costellazione a una soluzione efficace.

  • Il CLIENTE è l’elemento fondamentale di una costellazione. E’ colui che porta la domanda su cui lavorare, che deve essere chiara e rilevante, ovvero non generica ed evasiva, bensì focalizzata su una tematica che richieda una soluzione. Ma soprattutto il cliente è importante perché è il suo campo morfogenetico che viene rappresentato fenomenologicamente, a cui si collegano il facilitatore e i rappresentanti.

  • I RAPPRESENTANTI sono generalmente persone (ma possono essere anche oggetti) su cui vengono proiettati dal campo morfogenetico taluni aspetti dei membri del sistema familiare. In genere (ma dipende dalla tecnica utilizzata dal facilitatore) possono esprimersi liberamente e spontaneamente, dando uno sviluppo dinamico alla costellazione.

Concretamente, dopo una breve indagine sulla tematica portata dal cliente e sulla situazione genealogica e sistemica, il cliente formula la domanda cui tenterà di dare risposta grazie alla costellazione. Il cliente dispone nello spazio previsto (o invita a disporsi liberamente) i rappresentanti della sua famiglia, o del suo partner, o delle sue relazioni affettive, lavorative, personali. Poi si siede e osserva.

I rappresentanti entrano in connessione con il campo morfico del soggetto e agiscono guidati da dinamiche spontanee, portando alla luce il vissuto emotivo delle persone reali o delle situazioni che rappresentano. In genere, nel giro di qualche minuto la costellazione arriva a uno stallo, a un blocco o un congelamento: è il cosiddetto irretimento, in cui vediamo la situazione “reale” del sistema familiare del soggetto, assistiamo all’emersione del nodo o del nucleo problematico del sistema.

Solamente la visione e la presa di coscienza di questo dato potrebbe bastare al cliente per destrutturare una serie di blocchi interiori e giungere a nuove consapevolezze riguardo se stesso e il proprio sistema; ma in genere si cerca di effettuare un aggiustamento della situazione, di esercitare un ruolo attivo nella ridefinizione del sistema.

Attraverso quindi un misurato e graduale cambiamento delle posizioni dei rappresentanti nello spazio, spontaneamente o attraverso l’intervento del facilitatore, si riporta il sistema nel giusto ordine: una rinnovata armonia dentro la quale il soggetto interessato riprende il suo posto e ristabilisce le corrette relazioni con i membri del suo sistema.

Riflessioni sulla coppia: terapia di coppia e sostegno psicologico

Riflessioni sulla coppia: conflitto e violenza

coppiaCon l’ultimo “femminicidio” di pochi giorni fa il numero di donne uccise dall’inizio dell’anno è arrivato a 49! E purtroppo questa è solo la punta dell’iceberg. Il numero di coppie  che vive in situazione di conflitto è difficile da calcolare ma sicuramente molto grande. Fortunatamente non tutte finiscono in omicidio o violenza, ma la sensazione è che il fenomeno sia molto diffuso. Questo è confermato anche nella realtà in cui viviamo, la richiesta di Terapia di coppia a Monterotondo copre circa la metà di tutte le richieste di intervento psicologico. Cosa sta succedendo? E’ cambiato qualcosa o è sempre stato così ed ora ce ne accorgiamo di più grazie ai mass media?

La coppia, intesa come relazione più o meno duratura tra due individui di sesso diverso, esiste in natura, almeno nel mondo animale, ed il suo significato biologico è la riproduzione e quindi la continuità della specie. Tra i mammiferi ci sono molti esempi di animali che formano coppie che durano molto più del tempo necessario alla procreazione e all’accudimento dei piccoli, per esempio i lupi formano coppie che durano anche per tutta la vita.

Quando ci occupiamo dell’essere umano, come sempre, le cose si complicano moltissimo.  La sola biologia non basta ad analizzare e cercare di capire le complesse dinamiche di coppia che si creano tra due esseri umani, basti pensare a sempre crescente numero di coppie omosessuali, il cui scopo principale non è certo la procreazione. Quindi oltre la biologia abbiamo bisogno della psicologia, della sociologia, dell’antropologia per cogliere l’intreccio di fattori culturali, sociali, ambientali, storici che regolano i rapporti di coppia nelle società così dette evolute e civili.

E’ indubbio, tutti lo cogliamo, che ci sia una forte spinta a formare delle coppie, tanto che nella maggior parte delle culture, la coppia è l’elemento base su cui si basa la società, o forse sarebbe meglio parlare di famiglia, che altro non è che la coppia dopo che ha espletato il suo compito biologico, la riproduzione. Ma, come detto prima, “l’uomo” è andato oltre, infatti possiamo vedere molte coppie che scelgono consapevolmente di non avere figli. Dobbiamo quindi ipotizzare una “spinta” verso la formazione di una coppia che risponde ad altre esigenze, di natura più psicologica*.

La ricerca del partner.

Perché, allora, tendiamo a cercare un partner? Probabilmente la risposta più semplice ed immediata è “perché non ci piace stare soli”, e questa risposta trova riscontro in moltissimi studi ed in molte teorie della moderna psicologia. Il bisogno di contatto (anche e soprattutto fisico), il bisogno di riconoscimento, il bisogno di condividere le esperienze che facciamo sono ormai universalmente riconosciuti come caratteristiche distintive degli esseri umani. A questo ovviamente vanno aggiunti fattori culturali (“comunque ad una certa età ci si sposa”), economici (trovare un buon partito), politici (durante il fascismo il matrimonio era quasi un obbligo sociale) che fanno sì che l’istituzione coppia abbia avuto un grande successo nella storia dell’uomo. Ma dato che noi siamo psicologi, vediamo di analizzare la cosa da un punto di vista psicologico. Quindi le domande che ci porremo sono: Con quale criterio scegliamo il nostro o la nostra partner? Come mai a volte sembra che scegliamo la persona più sbagliata possibile? Come mai portiamo avanti ottusamente relazioni che evidentemente non funzionano?  Perché a volte diventiamo aggressivi e violenti invece di andarcene semplicemente? Naturalmente qui faremo solo delle ipotesi, se sapessimo rispondere con assoluta certezza a queste domande avremmo risolto uno dei più grandi problemi dell’umanità.

Possiamo cominciare prendendo in esame una cosa semplice e lampante: nasciamo tutti “da” una relazione di coppia (ci vogliono due individui di sesso diverso, anche se oggi esistono tecniche tali che permettono di avere un figlio anche da soli) ed “in” una relazione di coppia,   quella composta da noi stessi e da nostra madre. Questa relazione è fondamentale per la nostra sopravvivenza (senza la mamma un piccolo umano non è in grado di cavarsela) ma anche per il nostro sviluppo fisico e psicologico. Probabilmente proprio questa relazione madre-figlio sarà alla base di tutte le altre relazioni della nostra vita, ed in particolare alla “relazione di coppia”.

Emotività: un codice che si crea fin dalla nascita

Ci serve una piccola digressione sul nuovo nato: chi è? Cosa vuole? Come funziona? Le teorie psicologiche sono molte, ma alcuni punti sono sicuramente condivisi ed in sintonia con il comune buon senso. I neonati sono “individui”, vale a dire delle unità psico-fisiche perfettamente funzionanti, dotate di tutte le risorse e le strategie necessarie per sopravvivere, a patto che ottengano la “collaborazione” dell’ambiente in cui vivono (fondamentalmente la madre).

Quello che vogliono è sostanzialmente avere risposte ai propri bisogni, in fretta e adeguate.

Funzionano per lo più secondo il principio del piacere-dispiacere, se tutto va bene se ne stanno tranquilli, altrimenti mettono in atto le loro strategie per ottenere il piacere e ristabilire l’equilibrio. Così il bambino ha fame – strilla fino a che non viene nutrito – poi torna tranquillo. Sembra tutto semplice e lineare, potrebbe funzionare bene, ma……..  possono  succedere molti “incidenti”. Ad esempio la madre potrebbe non riuscire ad interpretare il bisogno del bambino (lui ha mal di pancia e la madre gli dà cibo), oppure per qualche motivo non ha voglia di occuparsene, o magari il bambino è istituzionalizzato. Quindi il nostro bambino cresce apprendendo quali “strategie” funzionano nel suo ambiente e quali no, inoltre crescendo acquisisce nuove abilità (motorie, linguistiche, logiche, sociali) che userà per crearne di nuove, più sofisticate, mentre il suo ambiente si allarga sempre più (dalla famiglia alla scuola ai gruppi di pari, al mondo del lavoro, alla società in genere). Fondamentalmente scopre che per ottenere soddisfazione ai propri bisogni non basta a sé stesso, ha bisogno “dell’altro” (per ottenere cibo non basterà più strillare, bisognerà imparare a chiedere e ad attendere, e ad un certo punto anche procurarselo da solo). Anche i bisogni cambiano, e si fanno più complessi. Dai primordiali bisogni di nutrimento, accudimento (coccole), calore al bisogno di riconoscimento, di conoscenza, di autonomia, di struttura, che mi sento di definire “sani” ai bisogni reali o indotti che la nostra società ha creato (bisogno di i-phone?), meno sani, ai bisogni “nevrotici”, “non sani”.

Credo che possiamo suddividere le strategie in due grandi categorie: quelle basate sulla collaborazione e quelle basate sulla manipolazione. Naturalmente non dobbiamo considerarle come categorie assolute, spesso i due aspetti si fondono. Le strategie collaborative si basano sul riconoscimento dell’altro come individuo uguale a noi e portatore di bisogni proprio come noi. Quindi andranno nella direzione: “vediamo come è possibile trovare insieme soddisfazione ai nostri bisogni” e presuppongono la capacità di rinunciare a qualcosa. Le strategie manipolative si basano sul riconoscimento dell’altro unicamente come soggetto che può rispondere ai nostri bisogni e vanno nella direzione:” come posso costringerlo?”, l’ipotesi di rinunciare è molto remota.

Coppia e sessualità.

Torniamo alla nostra coppia. Abbiamo visto quanti elementi concorrano alla costruzione di una relazione adulta, psicologici, ambientali, sociali ecc., ma noi ci stiamo occupando di una particolare relazione, quella tra due adulti, che in qualche modo decidono di condividere parti importanti della loro vita. E qui entra in ballo un altro elemento, dirompente, la sessualità. Questo è l’ambito più “immediato” (nel senso che ha poche mediazioni di tipo sociale-linguistico, ci riporta al primitivo ambito senso-motorio) della relazione e quello in cui si manifestano più direttamente (e a volte drammaticamente) i conflitti.

Ora forse abbiamo le idee un pochino più chiare sui criteri con i quali scegliamo il partner: deve essere in grado di soddisfare i nostri bisogni, dai più arcaici (poco consapevoli) a quelli reali e, ahimè, soprattutto a quelli nevrotici. Lo stile con il quale cercheremo di ottenere la nostra soddisfazione sarà quello che abbiamo appreso nella nostra infanzia e poi perfezionato nell’arco della nostra vita. Inoltre probabilmente cercheremo quelle persone che somiglino il più possibile alle nostre figure di riferimento in modo da trovarci su un terreno “conosciuto”, anche se la maggior parte delle volte ha funzionato male. E questo che ad un osservatore esterno appare come “scelta sbagliata” (“non capisco proprio perché quei due stiano assieme”). E’ sbagliata se pensiamo ad un rapporto ideale, è giusta se risponde ai criteri di cui sopra: ricreare una situazione nota, nella quale in qualche modo me la sono cavata, senza riuscire a immaginare niente di diverso. E questo risponde alla domanda “perché certe relazioni vanno avanti anche quando sembrano terribili?”.  E comunque la paura di “perdere tutto” è spesso ciò che sostiene la relazione.

Forse il quadro che emerge è un po’ fosco, ma devo dire che la mia lunga esperienza clinica nella terapia di coppia, ma ancor più la mia esperienza di vita (quella che abbiamo tutti), mi hanno restituito l’idea di una “istituzione” veramente in crisi, in cui i conflitti la fanno da padroni, certo con tutte le sfumature possibili come detto all’inizio.

Sostegno psicologico: La terapia di coppia.

Infine qualche parola sulla terapia di coppia o meglio “della coppia”. In ogni relazione di coppia ci sono tre elementi: i due partner e la relazione. E’ evidente che si può pensare di intervenire su ognuno dei tre elementi o anche su tutti. Personalmente ritengo che il primo passo sia capire se la coppia ha ancora (se mai lo ha avuto) uno “spazio” in cui costruire o ricostruire una relazione sufficientemente sana. Se questo non c’è credo sia dovere del terapeuta aiutare la coppia a fare una buona separazione (compito di solito non facile). In secondo luogo valutare le rispettive motivazioni, risorse e capacità al fine di impostare un lavoro di presa di consapevolezza dei meccanismi che regolano il funzionamento della coppia (secondo lo schema sinteticamente mostrato in questo articolo), ed infine esplorare le possibilità di cambiamento. Non escludo una prima fase in cui uno dei partner (o anche tutti e due) faccia un breve percorso individuale al fine di rendere più equilibrato il successivo lavoro. In un buon funzionamento della coppia c’è veramente molto da guadagnare per tutti, per i partner, per i loro figli e per tutto l’ambiente circostante. Ovviamente non necessariamente c’è bisogno dell’intervento dello psicologo, a volte basta dedicare un po’ di tempo a parlarsi, esprimere con chiarezza e senza paura i nostri bisogni, rendersi conto che la coppia necessita impegno e non dare mai nulla per scontato.

 

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