Violenza nella coppia e dinamiche di potere nelle relazioni LGBTQI+

Violenza nella coppia LGBT | Centro Psicologia Monterotondo

Sul tema della violenza nella coppia all’interno delle coppie LGBTQI, nella letteratura scientifica degli ultimi vent’anni esistono studi lacunosi e parziali.

Anzitutto, occorre distinguere due concetti spesso correlati ma indipendenti:

la Intimate Private Violence identifica la violenza nella coppia, dalla violenza verbale e psicologica, ai maltrattamenti fino ad arrivare alle percosse.

La Intimate Partner Sexual Violence indica invece l’abuso sessuale che si verifica all’interno di una coppia.

Studi su violenza nella coppia e abusi

I dati della letteratura scientifica statunitense coprono circa un ventennio di ricerche fino al 2015. Se consideriamo chi ha subito nella vita almeno un episodio di violenza domestica o di abuso sessuale, nella popolazione LGBT la prevalenza è maggiore che nella popolazione eterosessuale ed è originata sia da uomini sia da donne.

In Italia, la ricerca in merito è quasi inesistente. Soltanto nel 2011, ArciLesbica Roma e D.i.Re. (Donne in rete contro la violenza) hanno condotto una piccola ma significativa ricerca su 102 donne omosessuali nella Regione Lazio, intitolata “La violenza ha mille volti, anche arcobaleno”.

Dalla ricerca è emerso che una donna su cinque ha ammesso di avere paura del ritorno a casa della propria partner. Al campione è stato chiesto come si comporterebbe in caso di violenza domestica. Il 70,6% ha dichiarato che si rivolgerebbe ad amici o associazioni; il 29,4% non ha saputo indicare a chi chiederebbe aiuto. E’ emerso inoltre un dato allarmante: 27 donne su 102 hanno dichiarato che non chiederebbero aiuto in caso di violenza, per riservatezza o disagio.

Allo stato attuale, molte realtà associative che si occupano di violenza sulle donne non solo non riportano dati sulla violenza same-sex, ma quasi sempre non accennano al fenomeno.

Caratteristiche del fenomeno e luoghi comuni inesatti

Il fenomeno della violenza nelle coppie LGBTQI+ assume caratteristiche specifiche che forniscono spunti ulteriori su alcuni meccanismi della violenza domestica che operano anche nelle coppie eterosessuali.

Anzitutto, bisogna partire dal presupposto che la violenza domestica nelle coppie LGBT avviene sempre nel contesto dell’omofobia interiorizzata. Si tratta del fenomeno per cui una persona LGBT attiva contro se stesso atteggiamenti omofobi, arrivando a vivere sentimenti di inadeguatezza, colpa e vergogna. Violenza domestica e omofobia interiorizzata si potenziano a vicenda, alimentando il senso di colpa e la vergogna, che ostacolano il ricorso alla denuncia.

Sono presenti dei falsi miti circa questa realtà (Brown e Chan) ovvero:

  • solo le donne possono essere vittime e solo gli uomini possono essere aggressori;

  • il maltrattamento tra partner dello stesso sesso biologico non è grave tanto quanto quello di un uomo su una donna;

  • le donne non sono violente;

  • la violenza nelle relazioni omosessuali è reciproca;

  • quando una coppia omosessuale litiga, non è mai violenza, ma si tratta di bisticci d’amore;

  • l’autore dell’aggressione è sempre il partner più mascolino, mentre la vittima è sempre il partner più femminilizzato.

La violenza domestica all’interno delle coppie lesbiche assume specificità che mostrano quanto il problema della violenza nella coppia non sia tanto legato al sesso biologico dell’aggressore, quando alle dinamiche di potere operanti nella relazione.

Giochi di potere all’origine della violenza nella coppia

Spesso la violenza si manifesta sotto forma di attacchi all’identità di genere o all’orientamento (non sei una vera lesbica se …”): la vittima viene minata nel suo senso di identità e i suoi vissuti di omofobia interiorizzata vengono potenziati.

Altre volte, la violenza si esercita sotto forma di minaccia di outing, ovvero di rivelare l’orientamento sessuale della partner o del partner ai familiari, ai colleghi, agli amici, potenziando la paura che questi possa mettere in atto comportamenti di rifiuto aggressivo o di abbandono.

Al contrario, la violenza può esercitarsi sotto forma di invisibilizzazione della relazione, cioè costringere la partner a mantenere un comportamento pubblico che neghi la relazione di coppia, talvolta fino al punto di vietare di “lasciare traccia” della propria presenza persino nella casa coniugale.

La letteratura riporta anche una pericolosa identificazione tra partner nel caso della violenza domestica nelle coppie lesbiche. Nello specifico, spesso si verificano ricatti emotivi nella veste di minacce di autolesionismo. Oppure meccanismi manipolatori di autovittimizzazione (“tu mi dovresti capire”) per cui la vittima viene indotta a pensare di non essere empatica se pensa di denunciare il proprio aggressore.

Merita un ultimo riferimento il fatto che il contesto di omofobia sociale e interiorizzata in cui vivono le coppie LGBT spesso ostacola la denuncia, per tre fattori: la denuncia obbliga al disvelamento del proprio orientamento sessuale; si accompagna spesso a una scarsa fiducia delle persone LGBT verso le forze dell’ordine; in Italia, allo stato attuale, manca una assistenza specificamente formata.

Questa carenza è nota alle persone LGBT che quindi, prima di denunciare, spesso costruiscono la fantasia di un contesto poco accogliente, poco in grado di capire il fenomeno e potenzialmente omofobo.

Ph Felipe Balduino, Pexels

Fuori dall’armadio: Affettività, identità, omofobia

Lgbt e oltre

Orientarsi nel mondo LGBTQI+ non è affatto semplice. Lo stesso acronimo lo rende evidente, poiché include nella stessa comunità le persone lesbiche, bisessuali, gay, transessuali, intersessualità, “queer”. E’ usato per indicare tutti coloro che non si sentono rappresentati dall’orientamento sessuale eterosessuale.

LGBT

Come si è arrivati dalla contrapposizione classica tra eterosessualità e omosessualità alla moltitudine di dimensioni affettive e sessuali che la letteratura psicologica oggi riconosce negli esseri umani? Per capirlo sembra utile partire da una ironica e provocatoria affermazione di Alfred Kinsey.

Nel trattato “Sexual Behavior in the Human Male” (1948), riportando i dati della più vasta indagine mai svolta sul comportamento sessuale degli esseri umani, Kinsey affermava che

Questo mondo non dovrebbe essere diviso tra pecore e capre. E’ un principio fondamentale della tassonomia il fatto che la natura raramente ha a che fare con categorie separate […]. Il mondo vivente è un continuum in ognuno dei suoi vari aspetti”.

Un nuovo sguardo sull’omosessualità

A partire dalle ricerche di Kinsey e di Evelyn Hooker, la letteratura scientifica ha iniziato quel lento percorso di revisione scientifica e clinica dell’omosessualità, che si è mosso in due direzioni fondamentali:

  1. riconoscere che l’omosessualità è sia normale sia diffusa;

  2. riconoscere che l’omosessualità è solo una delle infinite varianti naturali del comportamento sessuale umano.

In queste linee, nel 1972 L’American Psychological Association cancella l’omosessualità dalle patologie psichiatriche. A partire dal 1974, la voce omosessualità” viene eliminata dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM). LOrganizzazione Mondiale della Sanità descrive lomosessualità come una variante naturale del comportamento sessuale umano. Afferma inoltre che nessuna terapia può essere messa in atto per modificare lorientamento sessuale.

Per capire di più: sesso biologico, identità di genere, stereotipi di genere, orientamento sessuale

Iniziamo a precisare che il sesso biologico può essere definito come l’appartenenza su base genetica al genere maschile o al genere femminile. Il sesso biologico, definito dal corredo cromosomico, già nello sviluppo fetale determina lo sviluppo di organi sessuali primari coerenti con il patrimonio genetico. Nel momento della pubertà e dell’adolescenza, lo stesso corredo cromosomi indurrà lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie.

In realtà, esistono in natura varianti intersessuali, cioè con corredo cromosomico appartenente ad entrambi i sessi biologici. Alla nascita si manifestano organi sessuali di entrambi i sessi, senza informazioni sul tipo di carattere sessuale secondario che si svilupperà primariamente nell’adolescenza.

Lidentità di genere riguarda il modo in cui Io penso il mio sesso biologico, ovvero se mi penso un essere umano maschile o femminile. Questa percezione di sé, estremamente precoce, prescinde dal sesso biologico, anzi può essere in contrasto con il sesso biologico. In tal caso, ci troviamo di fronte ad una “disforia di genere”. E’ la percezione che il proprio corpo non corrisponda alla propria identità di genere e che pertanto sia necessario un “allineamento” per riconoscersi finalmente nel corpo “giusto”.

Lo stereotipo di genere o aspettativa di genere indica invece il comportamento che la società si aspetta da un essere umano sulla base del suo essere maschile o femminile. Si tratta di un ambito di prescrizioni molto vasto, fortemente determinato dalla cultura di riferimento. Lo stereotipo può portare a individuare uomini “effeminati” o donne che si comportano da “maschiacci”.

Infine, l’orientamento sessuale indica la predisposizione a provare un’attrazione affettiva ed erotica verso una persona del sesso opposto al proprio (eterosessualità) o dello stesso sesso (omosessualità) o entrambi (bisessualità).

Tutte queste variabili sono presenti contemporaneamente nello stesso individuo, ma possono modificarsi nel corso della vita. Diventa dunque chiaro che la complessità del mondo LGBT sta in questo suo potersi declinare in modi assolutamente vari e complessi.

E il pregiudizio eterosessista?

Vista la complessità del comportamento affettivo, relazionale e sessuale umano, diventa chiaro che l’eterosessualità sia solo una delle molteplici sfaccettature con cui un individuo può esprimere, in un dato momento, la propria predisposizione affettiva, relazionale e sessuale.

Anzi, il pregiudizio eterosessista è quella struttura sociale dominante per cui un qualunque individuo si considera eterosessuale a meno che non dica il contrario. Questo pregiudizio è fortemente sostenuto dalle campagne pubblicitarie che veicolano le aspettative di genere e dalle convinzioni comuni operanti a livello sociale. Una persona LGBT viene così sottoposta a uno stress, il cosiddetto Minority Stress o “stress di minoranza” (Lingiardi).

Una persona LGBT, per effetto del pregiudizio eterosessista, sarà portata a pensarsi inizialmente come eterosessuale. Quando avrà una maggiore consapevolezza della sua identità di genere o del suo orientamento sessuale percepirà la propria “devianza della norma”, che solitamente si manifesta in ansia, vissuti depressivi, senso di colpa, senso di inadeguatezza, vissuti di vergogna e disistima profondi.

Uscire fuori dall’armadio

Da questa discrepanza inizia per una persona LGBT il lungo processo di autoconsapevolezza chiamato comunemente Coming Out, dall’espressione coming out of the closet, ovvero uscir fuori dall’armadio.

Nel corso degli anni, la letteratura psicologica ha elaborato tanti modelli teorici che spiegassero le diverse fasi del coming out. In generale tutti i modelli sul Coming Out concordano nel ritenerlo un processo che ha inizio dall’accettazione di sé e si allarga alla condivisione della propria identità con familiari e amici. E’ un processo che dura tutta una vita e si muove lungo le tre direttrici fondamentali della autoconsapevolezza, della costruzione della propria identità e della condivisione della stessa identità.

E’ in ultima analisi anche un percorso in cui si può uscire dall’isolamento e costruire la propria identità sulla base dell’appartenenza alla comunità LGBT nelle sue mille sfaccettature.

Una psicoterapia per persone LGBT e uno sportello LGBT

Questo breve sguardo che abbiamo gettato insieme sul mondo LGBT ha messo in risalto una realtà talmente tanto complessa e delicata che ha convinto – e ci ha convinto – della necessità di terapeuti specializzati nelle tematiche LGBT, che sappiano sostenere il percorso del coming out e le persone LGBT nella difficile lotta all’omofobia.

Presso il Centro Psicologia Monterotondo si può pertanto portare avanti un percorso terapeutico specifico che aiuti a :

  • superare l’ansia e la vergogna;

  • elaborare la propria identità;

  • portare avanti il proprio coming out;

  • affrontare questioni legate all’omofobia, interiorizzata o sociale.

Per questi motivi, abbiamo inoltre pensato di proporre uno sportello permanente di consulenza gratuita, che può essere effettuata anche in forma anonima. La consulenza sarà rivolta soprattutto ai giovani e giovanissimi che precocemente si confrontano con dubbi continui sulla propria sessualità e affettività. Il supporto è dedicato anche ai genitori, che a volte non riescono a trovare il modo di decifrare i silenzi dei loro figli via via sempre più chiusi e solitari.