Workshop Costellazioni Familiari 21-22 aprile

Centro Psicologia Monterotondo – Costellazioni Familiari Workshop 21 – 22 aprile 2018

Il seminario sulle Costellazioni Familiari è a numero chiuso fino ad un massimo di 20 iscritti

Ogni famiglia, come ogni sistema (squadra, gruppo, corpo, ambiente di lavoro, ambiente scolastico, stirpe, razza, nazione, ecc.), possiede delle proprie regole e valori spesso non esplicitati e acquisiti dai componenti del sistema in modo inconsapevole. Il metodo delle Costellazioni Familiari, che rende visibili nello spazio i processi profondi utilizzando persone estranee tra loro, viene utilizzato per la prima volta da Moreno, il medico fondatore dello psicodramma. Bert Hellinger ne ha fatto un metodo di lavoro sulla famiglia.

Con le Costellazioni Familiari vengono portate alla luce le dinamiche nascoste che ci mantengono legati alla nostra famiglia e ci fanno appartenere a quel gruppo: queste lealtà a valori, idee, leggi, del sistema che spesso sono “invisibili”, ci spingono ad attuare dei comportamenti che condizionano sia la nostra vita che i nostri sentimenti. Attraverso la connessione con il Campo Cosciente – la rete di informazioni presente intorno a noi – si può entrare in contatto con informazioni importanti su ciò che disturba o favorisce l’equilibrio nelle relazioni tra i componenti del sistema, migliorando in genere la relazione con se stessi e con il mondo, in un processo graduale e creativo di consapevolezza, accettazione e riparazione.

Indagare su noi stessi

Tramite le Costellazioni Familiari possiamo indagare e cercare soluzioni su:
-Famiglia d’origine e attuale
-Coppia e relazioni
-Separazioni o perdite dolorose
-Situazioni di vita difficili
-Stress, ansia, senso di colpa, aggressività, insicurezza
-Senso di non appartenenza
-Carenza della gioia di vivere
-Situazioni spiacevoli che si ripetono ciclicamente

Ciò che è più grande negli esseri umani è ciò che li rende uguali a tutti gli altri. Qualsiasi altra cosa che dèvi più in alto o più in basso da ciò che è comune a tutti gli esseri umani ci sminuisce. Solo essendo consapevoli di questo possiamo sviluppare un profondo rispetto per ogni essere umano.”

Bert Hellinger

Come si svolge:

Dal gruppo dei partecipanti si scelgono i rappresentanti per i vari membri familiari e si dispongono nello spazio in relazione l’uno con l’altro. Da questo momento i rappresentanti spesso si sentono e si comportano proprio come le persone che rappresentano, benché ne’ il terapeuta ne’ loro stessi abbiano ricevuto alcuna informazione preventiva sui fatti iniziali.
In questo modo, secondo il posto che questi occupano come sostituti di membri familiari, possono essere individuati i legami nascosti e le “lealtà invisibili”.

Il metodo delle Costellazioni Familiari consiste non tanto nel cercare di rimuovere il problema, quanto piuttosto nel facilitare il Protagonista a rivolgersi verso la Soluzione, la quale non può essere anticipata o prevista razionalmente, ne’ indicata, ma deve essere vista o percepita emergere da sé nella dinamica della rappresentazione sistemica stessa. La constatazione della realtà oggettiva, o comunque della realtà relativa al momento presente del sistema stesso, stimola l’accettazione consapevole di nuovi punti di vista. Ed è proprio questa rinnovata consapevolezza ciò che porta alla soluzione, essendo in parte essa stessa “La Soluzione”. Portando l’attenzione alla soluzione, piuttosto che al problema, permettiamo al nostro cuore di aprirsi ad una comprensione più profonda di ciò che siamo veramente. Imparando a vedere “ciò che è”: senza giudicare ne essere giudicati.

Il workshop sarà condotto dallo Psicologo Leonardo Magalotti. Specializzato in Psicoterapia della Gestalt, Psiconcologo, si occupa di nascita delle modalità relazionali e costruzione dei legami nell’infanzia, Video Micro Analisi, Umorismo nella Psicoterapia. Docente al Corso di Formazione in Psicologia Oncologica all’Istituto Regina Elena di Roma. http://www.magalotti.info/#home

Come Partecipare

COSTO 130 EURO DI CUI 50 EURO ALLA PRENOTAZIONE  – Termine ultimo per l’iscrizione 15 Aprile 2018
Per confermare la prenotazione è necessario versare 50 euro come acconto e caparra PRESSO IL CENTRO PSICOLOGIA MONTEROTONDO
oppure attraverso un BONIFICO sul seguente IBAN IT2300760105138200909200910
(poste PayEvolution intestata ad Andrea Di Gennaro- referente del workshop presso il Centro)

Causale ”COSTELLAZIONI APRILE MONTEROTONDO”

Per motivi organizzativa vi preghiamo di inviare ricevuta del pagamento tramite mail digennaro.andrea[at]gmail.com
oppure nome e cognome del/dei partecipanti tramite sms al numero: 328.7962471
Restiamo a disposizione per ogni chiarimento

Dott. Andrea Di Gennaro 328.7962471

Cervelli in movimento: una tempesta costruttiva

Risorse umane, una tempesta costruttiva

All’interno di un gruppo di lavoro, quale che sia la sua dimensione, dall’azienda al piccolo gruppo con un obiettivo specifico, possiamo assistere a fenomeni di tensione, nervosismo e apprensione. Questi stati d’animo negativi portano, nel migliore dei casi, a un abbassamento della soglia della motivazione che conduce il lavoratore a rendere di meno o con standard qualitativi inferiori rispetto al solito. Da parte nostra, cosa possiamo fare? Quali sono le parole più giuste? Quali azioni sono le più idonee per fronteggiare situazioni “sfavorevoli”? Oltre a concentrare l’attenzione sul budget, sul target, sui bilanci o sui resoconti, perché non sfruttare la risorsa più importante che abbiamo?

La forza creativa del gruppo

Parliamo della risorsa umana, i nostri collaboratori. Coinvolgerli, farli sentire parte integrante, risorsa di inestimabile valore. Quando eravamo bambini i giochi in gruppo erano quelli più divertenti, quelli fatti con i nostri compagni di scuola erano i più fantasiosi,  i giochi inventati con fratelli o cugini erano quelli più geniali. Non a caso i lavori di gruppo presentati a scuola erano i più colorati e pregni di informazioni! Ecco, tornando indietro nel tempo, tutto questo può essere riadattato alla realtà del lavoro in gruppo e può esserci molto utile. Riprendendo, solo per uno spunto, la scuola della Gestalt (la psicologia della Gestalt, detta anche psicologia della forma, è una corrente psicologica riguardante la percezione e l’esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania) la quale sostiene che “L’insieme è più della somma delle sue parti” e tenendo vivido il ricordo dei giochi in comitiva, ecco che l’immagine che ci viene in mente è nitida e concreta: il gruppo.

Quando siamo di fronte ad un problema le cui soluzioni non bastano, non sono innovative, originali; quando abbiamo bisogno di nuovi spunti, nuove prospettive o nuovi progetti ma nulla ci viene in soccorso, cosa possiamo fare? Mettiamo insieme un gruppo di collaboratori, diamogli uno spunto, e giochiamo insieme …. il risultato sarà sorprendente! Mi riferisco alla tecnica del brainstorming, letteralmente una tempesta di idee, una tecnica dove vince la creatività di gruppo e che stimola l’emergere di nuove idee che portano alla soluzione di un problema.

Il metodo del brainstorming

Il metodo del brainstorming iniziò a diffondersi nel 1957, mediante il libro di A. F. Osborn “Applied Imagination” . La tecnica del brainstorming ha molte applicazioni pratiche, nella pubblicità, nell’arte, nello sviluppo di nuovi prodotti, ma anche nella creazione e gestione di progetti e processi. E’ una tecnica largamente utilizzata in numerose realtà aziendali. Consiste in una discussione di gruppo guidata da un animatore che ha il compito di far venire a galla il più alto numero di idee sull’argomento proposto. Idee di ogni tipo, le più assurde, bizzarre, eccentriche e stravaganti. Durante tutta la seduta ogni idea è accolta e ascoltata e solo al termine di tale sessione vengono fatte critiche e scremate le idee emerse. Alcune ricerche hanno dimostrato che evitare il giudizio immediato è altamente produttivo sia per il singolo che per l’interazione di gruppo. Nelle sedute di brainstorming possiamo rintracciare tre momenti fondamentali tra le quali la definizione del problema, e quindi capire dove c’è bisogno di un intervento  di tipo creativo, la produzione delle idee nuove, e la decisione e scrematura delle idee. E’ fondamentale tenere presente che l’animatore ricopre un ruolo chiave poiché deve  avere padronanza del problema proposto, soprattutto in merito ai limiti e ai punti dove si può osare maggiormente. Il gruppo dei partecipanti può essere eterogeneo per specializzazione, ruolo, mansione o cultura. Nella sessione è d’obbligo l’espressione libera di tutte le idee e  la censura di ogni tipo di ironia o critica. L’ideatore stesso sostiene che tale tecnica può essere dieci volte più produttiva rispetto a riunioni definite convenzionali.

Nonostante il brainstorming sia stato sottoposto a critiche, è comunque la tecnica più utilizzata che, grazie ai suoi limiti e ai suoi punti di forza, ha aperto la strada a numerose tecniche basate sulla creatività.  Ritornando a noi, perché non “sfruttare” le risorse umane che abbiamo in campo? Magari in un giorno in cui le idee vengono meno, dove il problema sembra insormontabile e l’inventiva non ci aiuta. Magari in un periodo come questo, dove numeri, segni meno e conti in rosso schiacciano ogni nostra fantasia. Forse proprio il silenzioso collaboratore del reparto qualità, il ragazzo della logistica o l’apprendista del recupero crediti possono avere in serbo una potenziale idea che, adeguatamente strutturata e organizzata, può essere per il nostro gruppo di lavoro un punto a favore.

La depressione post partum: tra normalità e patologia

Depressione dopo il partoLa depressione post partum (DPP) è una condizione clinica comune che viene spesso trascurata. Secondo un’indagine svolta nel 2008, la depressione post partum insorge nel 13% delle donne durante le prime settimane dopo il parto mentre il 14.5% ha un nuovo episodio depressivo maggiore o minore nei primi tre mesi postnatali ed il 20% delle neomamme sperimenta una depressione puerperale entro il primo anno dopo il parto. Esordisce generalmente dopo 3-4 settimane dal parto e la sintomatologia diventa ingravescente verso il 4-5 mese dopo la nascita).

Non esiste una classificazione diagnostica specifica per la depressione post partum. I sintomi sono identici ad una depressione maggiore non puerperale ma come momento di insorgenza hanno la circostanza del parto (Bobo, Yawn, 2015).

Depressione post partum: sintomi e insorgenza

Lo studio della Depressione post partum affonda le sue radici nel lontano 1838, quando lo psichiatra Esquirol descrive per la prima volta la “follia puerperale”, evidenziando il collegamento temporale con il parto come peculiarità di alcune forme depressive. Ad oggi il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) considera la depressione post-natale come una forma di depressione generale specificata come “depressione postpartum” se ha esordio entro le prime quattro settimane successive al parto. I criteri del DSM 5 per questo disturbo richiedono che siano presenti per un periodo di almeno due settimane: umore depresso come riportato dalla neomamma (per esempio si sente triste, vuota, disperata) o osservato da altri (per esempio appare lamentosa); marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte della giornata, quasi ogni giorno. Le donne possono presentare un’ideazione depressiva rispetto al proprio ruolo materno che si esprime con:

  • Percezione di esser incapaci di prendersi cura del figlio

  • Paura ed insicurezza nella gestione del bambino

  • Sentimenti ambivalenti o negativi verso il figlio

  • Percezione di isolamento dal contesto familiare.

La vulnerabilità legata alla gravidanza

La gravidanza non protegge la donna dallo sviluppo dei disturbi mentali al contrario, visti i processi psicologici coinvolti e il nuovo adattamento delle relazioni sociali, il periodo di gestazione rappresenta un momento di vulnerabilità sia per il ripresentarsi di precedenti patologie mentali sia per l’insorgenza nuovi disturbi (Picciau, Ottonello, Floris, Zonza, 2014).

Tra i principali fattori di rischio di depressione post partum in letteratura si riconoscono:

  • Storia psichiatrica pregressa

  • Precedente storia di psicopatologia in gravidanza o post partum

  • Familiarità per disturbi psichiatrici

  • Recenti eventi di vita stressanti (es.: lutti, malattie, aborti, violenza domestica)

  • Storia di abuso (fisico, sessuale, psicologico)

  • Relazione conflittuale con il partner

  • Mancanza di supporto familiare/sociale

  • Gravidanza non desiderata o non programmata

  • Vulnerabilità ormonale (es.: donne con storie di Sindrome Pre Mestruale SPM)

  • Patologia medica della madre (es.: disturbi tiroidei, diabete)

  • Complicanze fetali (es.: malformazioni primarie e/o secondarie)

  • Uso di sostanze psicoattive (stupefacenti, alcool, sostanze dopanti)

  • Giovane età

  • Nascita pre-termine, problemi di salute del bambino, temperamento difficile del bambino

  • Impossibilità di allattare

  • Difficoltà economiche

  • Essere primipare (Ossevatorio Nazionale sulla Salute della Donna, 2010).

È importante ricordare che una depressione post partum non curata tende a cronicizzare, diminuendo nella madre depressa la capacità di prendersi cura del neonato in modo adeguato e di sviluppare un’armonica relazione con il proprio figlio (Osservatorio Nazionale sulla salute della donna). Un adeguato interscambio madre-figlio sembra prevenire conseguenze negative sullo sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo del bambino (Istituto Superiore di Sanità, Marzo 2015). La DPP si manifesta indipendentemente dall’età e dal numero di figli delle pazienti.

Il vissuto contrasta con l’ideale sociale della maternità

Il periodo della gravidanza viene considerata una fase di passaggio nella vita della donna con peculiarità che non possono essere rintracciate in altri periodi della vita della stessa. La donna, infatti, è impegnata in un cambiamento che interessa la sfera biologica, psicologica e relazionale. Inoltre, la gravidanza, implica un percorso di maturazione che culmina con la definizione di un nuovo ruolo, quello materno. La nuova realtà alla quale va incontro la donna include:

  • Un nuovo ruolo e il cambiamento delle relazioni sociali;

  • Una diversa identità e un nuovo assetto della relazione di coppia;

  • Un confronto con la figura materna e l’acquisizione della funzione materna;

  • La perdita della fusione con il bambino e l’istaurare una relazione di dipendenza con il neonato.

La donna, in questa “nuova vita”, deve far fronte alle continue richieste del neonato, ad una nuova organizzazione del proprio tempo, riorganizzazione delle proprie abitudini ed eventuali difficoltà nell’ambito lavorativo. Per questo motivo, spesso, in molte culture, tra le quali quella occidentale, l’immagine idealizzata della maternità è in forte contrasto con il vissuto intimo della puerpera. Anche il contesto familiare e sociale in cui vive la donna possono essere di supporto o meno. Infatti, il legame con il partner può essere sollecitato da alcuni ostacoli dovuti al nuovo assetto di vita e l’uomo può essere avvertito dalla compagna come poco collaborativo rispetto alle nuove richieste della famiglia. Anche la mancanza di una rete sociale, avversità economiche o un parto inaspettatamente problematico, possono agevolare lo sviluppo di manifestazioni depressive.

 Un supporto che accompagni il cambiamento

Appare quindi fondamentale una tempestiva diagnosi che permetta di distinguere le neomamme che ottengono un esito positivo e soddisfano i criteri diagnostici per la depressione post partum (che necessitano di un trattamento immediato) dalle neomamme che stanno “riorganizzandosi” e che nel percorso di cambiamento possono avere degli episodi depressivi che vanno considerarti fisiologici. L’obiettivo primario, in ogni caso, è quello della remissione totale della depressione post partum sia per un miglioramento della salute psichica della madre che per il benessere del neonato. In generale, le decisioni circa il trattamento da adottare (psicoterapia piuttosto che antidepressivi) vengono prese in base alla gravità dei sintomi, alle preferenze della paziente, alla disponibilità di risorse locali circa i servizi di salute mentale e le scelte della paziente in merito all’allattamento al seno, qualora vi fosse la necessità di un intervento farmacologico.

Il linguaggio del corpo: quando vale più di mille parole

comunicazione non verbale Centro Psicologia Monterotondo

Quante parole diciamo durante tutto il corso della giornata? Quanto impegno mettiamo per far sì che il nostro interlocutore comprenda appieno ciò che vogliamo dire? Per questo elaboriamo frasi, pronunciamo parole ricercate, tecniche e quanto mai precise affinché il nostro pensiero sia espresso nel migliore dei modi possibili. Ma siamo sicuri che tutto ciò sia sufficiente? Siamo certi che il messaggio sia percepito esattamente per come vogliamo che lo sia? E’ bene tenere a mente che non è quello che diciamo, ma come lo diciamo che fa la differenza. E, sicuramente, la comunicazione verbale da sola non basta, deve essere necessariamente accompagnata da una comunicazione non verbale chiarificatrice e complementare.

La comunicazione non verbale è prevalente

Questi due tipi di comunicazione devono essere congrue tra loro per sortire effetti significativi. Facendo solo qualche accenno alla teoria, vediamo che la comunicazione non verbale è essenziale per capire chi abbiamo di fronte, per far comprendere noi stessi e per comunicare anche senza parlare! Ha un’importanza decisiva e strategica in tutte le relazioni interpersonali. Sembra paradossale, ma ogni minimo comportamento non verbale comunica qualcosa di noi, e, gestendolo nel miglior modo, può divenire un aiuto importante nelle relazioni sociali. E’ uno strumento che ognuno di noi ha a disposizione e ciò è avvalorato dal fatto che la CNV (comunicazione non verbale) costituisca il 93% di tutta la comunicazione e che il 91% della CNV sia inconsapevole. Perciò, una gran parte di quello che effettivamente comunichiamo è rappresentato da ciò che veicoliamo attraverso il linguaggio del corpo.

Impossibile non comunicare

Questo tipo di comunicazione è universalmente comprensibile, al punto da poter trascendere le barriere linguistiche (altre lingue), ma è bene sapere che ogni cultura tende a rielaborare in maniera differente i messaggi non verbali. Ciò vuol dire che forme di comunicazione non verbale perfettamente comprensibili per le persone appartenenti ad una determinata cultura possono invece essere, per chi ha un altro retaggio culturale, assolutamente incomprensibili o addirittura avere un significato opposto a quello che si intendeva trasmettere. C’è molto da dire su quest’argomento, sono stati scritti numerosi libri, tanti articoli e non pochi trattati e tutto è incline a sostenere che è impossibile non comunicare. Anche quando dormiamo, camminiamo, la postura che assumiamo, come posizioniamo i nostri piedi durante una conversazione, come stringiamo la mano in fase di presentazione o di saluto. Tutto è comunicazione.

Gesti, silenzi, sorrisi: potenziali strumenti di una comunicazione consapevole

Sia durante una riunione che in una normale conversazione, siamo tendenzialmente attenti ai gesti che interessano gli arti superiori, ma se vogliamo sapere qualcosa di più della persona che abbiamo di fronte, allora spostiamo lo sguardo sui suoi piedi o sulla posizione delle gambe.

Attenzione al tono della voce, alle pause ad anche ai silenzi! Potrebbe sembrare assurdo ma i silenzi sono un’arma a doppio taglio: possono servire per sottolineare l’importanza di un concetto appena espresso, oppure, se ben “utilizzati”, possono mettere a disagio il nostro interlocutore e farlo sentire in una posizione di inferiorità rispetto a noi. Quante volte, poi, siamo rimasti abbagliati da un sorriso fantastico oppure infastiditi da un’amica che con un sorriso ambiguo ci ha detto “ma che bei capelli”, le donne molto probabilmente ne sanno più degli uomini!

Il sorriso, questa meraviglia, questa manifestazione favolosa che riempie le nostre giornate, il nostro cuore e che, al solo ripensarci, ci strappa un altro sorriso come fosse una catena! Ma attenzione, è il sorriso di Duchenne quello schietto e sincero, dove tutti i muscoli facciali sono coinvolti, che arriccia gli occhi e gli angoli della bocca! Diffidate dal sorriso Pan American, quello falso, di cortesia, di circostanza, quello che ci lascia uno strano brivido sulla pelle.

Effettivamente non è semplice fare attenzione agli aspetti della comunicazione non verbale, è impegnativo e richiede interesse e osservazione. Naturalmente non possiamo trattare tutta la CNV in un breve spazio, ma qualche spunto di riflessione può, comunque, aiutarci a capire, capirci e, perché no, trarre qualche vantaggio in più per la nostra carriera e per la nostra “popolarità”.

Stati d’ansia

ansia come riconoscerla | Psicologia MonterotondoL’ansia è uno stato psichico, solitamente cosciente, caratterizzato da sensazioni di paura, apprensione e preoccupazione. Lo stato ansioso può essere legato a uno stimolo specifico riconoscibile oppure no. Spesso è accompagnato da sensazioni fisiche più o meno intense e durature. Le più comuni sono: palpitazioni, dolori al petto e/o respiro corto, nausea, tremore interno.

La maggioranza degli esseri umani ha avuto o potrà avere un disturbo d’ansia nel corso della propria vita. Di per sé, quindi, l’ansia non è un fenomeno anormale. Si tratta di un’emozione di base e appartiene al repertorio delle risposte umane: si attiva quando una situazione viene percepita soggettivamente come pericolosa.

Come si manifesta l’ansia

L’ansia si traduce in una tendenza immediata alla ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e vie di fuga, nonché in una serie di fenomeni neurovegetativi come l’aumento della frequenza del respiro, del battito cardiaco, della sudorazione eccetera. Si tratta, dunque, non solo di un limite o un disturbo, ma costituisce una importante risorsa, perché è una condizione fisiologica, efficace in molti momenti della vita per proteggerci dai rischi, mantenere lo stato di allerta e migliorare le prestazioni.

Lo stato d’ansia sembra avere varie componenti di cui una cognitiva, una somatica, una emotiva, una comportamentale.
• La componente cognitiva comporta aspettative di un pericolo diffuso e incerto.
• Dal punto di vista somatico l’organismo si prepara ad affrontare la minaccia (reale o presunta ). La pressione del sangue e la frequenza cardiaca aumentano, la sudorazione aumenta, il flusso sanguigno verso i più importanti gruppi muscolari aumenta e le funzioni del sistema immunitario e di quello digestivo diminuiscono. Esternamente i segni somatici di questo stato emotivo possono includere pallore della pelle, sudore, tremore e dilatazione pupillare.
• Dal punto di vista emotivo, si può manifestare un senso di terrore o panico, nausea e brividi.
• Dal punto di vista comportamentale, si possono presentare sia comportamenti volontari che involontari, diretti alla fuga o all’evitare la fonte dell’ansia. Questi comportamenti sono frequenti e spesso non-adattivi, dal momento che la minaccia percepita può non essere è reale.

I disturbi d’ansia

Quando l’attivazione del sistema di ansia è eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni, però, siamo di fronte ad un disturbo d’ansia, che può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche le più comuni situazioni.

Dal punto di vista clinico si distinguono diverse categorie principali di disturbi:

  • Disturbo d’ansia generalizzato.  Sensazione continua di allarme e preoccupazione non legata ad aspetti specifici.
  • Disturbo da attacco di panico. Si tratta di brevi attacchi di ansia acuta che si ripetono anche con frequenza giornaliera e che disorganizzano il comportamento.
  • Fobie. Sono paure più o meno specifiche legate ad oggetti o situazioni reali o soggettivamente percepiti.
  • Disturbo ossessivo-compulsivo. Bisogno irrefrenabile di compiere atti ripetitivi o pensieri ricorrenti ed invasivi.
  • Disturbo post-traumatico da stress. Si instaura in seguito ad episodi traumatici come incidenti o gravi perdite e che tende a cronicizzarsi.
  • Disturbo acuto da stress: come il disturbo precedente ma di durata non superiore ad un mese e che tende a scomparire spontaneamente.

Il disturbo d’ansia va attentamente diagnosticato al fine di mettere in atto la migliore strategia terapeutica che può essere sia di natura farmacologia, psicoterapeutica o una combinazione delle due. Bisogna tenere presente che il disturbo d’ansia in quanto tale, cioè non legato ad altre patologie psichiche od organiche, ha ottime possibilità di risoluzione.